tutto bene, grazie

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stranimali

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se

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se

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dubbio

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7 aprile 2008

son venuto via all’improvviso che mi ero scocciato, forse sono anche un po’ ubriaco che mi son bevuto un litrozzo di refosco; io volevo terrano ma il terrano non c’è più: solo refosco.
buono neh, ottimo: ma perché non c’è il terrano?
è lo stesso vitigno ma il terrano sviluppa in carso. e allora questo refosco dove cazzo ha sviluppato? l’osmica deve vendere i suoi prodotti e se è in carso deve vendere i suoi prodotti del carso, non del cazzo! perché non è terrano??
bella questa osmica.
pietre e travi dappertutto, un prato grande, cavalli, mucche e un casolare enorme.
la tizia, giovane donna, era gentile e bella, mi sorrideva.
mi ha fatto sentir bene; poi mi ha portato le prebenda (che non so cosa vuol dire ma mi piace) vabbè: le cibarie, va bene? e io le ho detto: “buona giornata!” e ancora non avevo bevuto nulla.
pensavo a lei e a i suoi discorsi, la penso ogni momento da trent’anni e da quando è ricomparsa mi strugge dentro come la lava che scende inarrestabile e brucia tutto: e resta il deserto.
perché indietro non si torna.
perché ieri esisteva ieri e oggi non esiste più e domani non esisterà mai più! e forse non esiste nemmeno “domani”.
mi son seduto in fondo al porticato, da solo, tavolo numero 15. la tizia mi ha chiesto: “quanti siete?” (per decidere il pane) io ho detto “uno”.
poi ho aggiunto “ sono solo!”
forse sono stufo d’essere solo e allora pensavo a lei e al fatto che se potesse tornare ieri forse avrei potuto non essere solo qui e adesso (disinvolto nell’uso delle coniugazioni!).
sono arrivati in audi, scende lui: scarpe bicolor panna/marrone, jeans scoloriti qua e là, maglietta rossa con scritta bianca del cazzo che non me la metterei nemmeno se mi pagassero, chiodo in pelle finto usurata e occhiali di valentino rossi o similia.
scende lei: lovable, direbbero i produttori di reggiseni; guable in triestino, chiavabile in lingua vulgaris ma io non glielo darei per tutto l’oro del mondo!
d’altro canto il concetto è assai relativo: anche luxuria è lovable!!
lui scende, chiude la portiera e resta immobile, gambe larghe, lo sguardo verso (ablativo assoluto) gli astanti, come a soppesare la consistenza degli stessi.
lei apre lo sportello posteriore e comincia a ravanare finchè non estrae cristian: un anno e dispari.
cristian, o forse christian con l’acca, è vestito come raul bova in una sfilata per armani jeans e comincia a correre di qua e di là finchè finisce a pianti.
commercianti, devono essere commercianti alle 16,50 di lunedì: giorno di chiusura.
arrivano due vecchi: uno somiglia cento su cento a walter mathau (si scrive così?) nei movimenti delle mani e dice all’altro “dravotki pueslam drestnicia podrosky” puntandogli l’indice come avrebbe fatto walter mathau e l’altro, cicciottello e simpatico, risponde con un compromesso  tra la vocale “a” e la vocale “e”, ma nulla a che vedere col partenopeo “aeh!”.
camminano verso la mescita come due pistoleri in “mezzogiorno di fuoco”, non ho capito nulla di quanto si siano detti né è importante che io capisca o abbia capito.
c’è il sole, è caldo.
le ho detto che io non ho mai assunto alcunchè tranne una volta che ero in auto con degli amici, trentacinque anni fa, e tornavamo da una osteria (sono sempre stato un tipo da osteria, mai discoteca o pub o night: solo osteria) quando comincia a girare sta sigaretta.
passa! mi dicono, e io passo.
torna e… passa! mi dicono, e io passo.
torna e… passa! mi dicono, ma cazzo! avete finito le sigarette e mi scassate le palle co sto mozzicone? ma vaffanculo!! io le sigarette ce le ho! se qualcuno ne vuole ecco qua!
era marijuana (si scrive così e due?)
lei invece ha assunto varie schifezze e nomina il prozac.
mo: io il prozac lo conosco solo con la “q”, suonavano e bene, certo: la loro musica che non coincide esattamente con la mia, però…
invece lei s’è ingurgitata quello senza “q”.
e com’è? dico io.
lei spiega e io commento: parente della cocaina?!?
ora io non vorrei rinnegare me stesso al punto di dover prendere un tranquillante per dormire e un eccitante per svegliarmi però…me stesso? e chi sei? ma chi ti credi d’essere?? uno stucchevole stronzo in cerca della sua cloaca.
eppure, tempo fa…

il pezzo è finito, forse non benissimo, qualcuno dice che manca la chiosa… aiuto??

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polluzione

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senza meta

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sogno nr 5

sono arrivato in auto (non quella di adesso e nemmeno quella prima ma quella di prima ancora: la balena bianca, come la chiamava il meccanico) in un posto che era come una privata carsolina (case di contadini dove gli stessi possono, in certi periodi dell’anno, vendere i loro prodotti come vino e salumi in regime d’esenzione da tasse): un prato, una discesa verso la cantina della casa, con una porta finestra grande e dentro il bancone, le botti e i frigoriferi e tavolini per gli avventori… sono sceso in auto verso la cantina, fin contro la porta, anzi ci son proprio sbattuto contro.
non c’erano avventori. nessuno.
la padrona è una faccia che nel sogno era qualsiasi ma in realtà io quella faccia la conosco ma non riesco, dopo una giornata che ci penso, a dargli un nome o una collocazione.
poi sono andato via, in retro marcia, e la macchina sbandava di qua e di là come una banderuola.
sono arrivato su e c’era anche una specie di baracchino per le bibite, nel prato, con il marito della signora, anche lui solare e sorridente (mentre scrivo mi rendo conto che lei è la padrona del posto e del sogno e lui solo una comparsa).
esco dal cancello e vado via.
poi torno, non so perché, e faccio più o meno le stesse cose.
giù dalla discesa mi pare ci fossero uno o due bambini, piccoli.
la tizia è una presenza che non saprei ben definire ma aleggia, incombe, come uno sfondo.
poi me ne rivado e in macchina c’è una ragazzina che…è mia figlia; tutto normale.
torniamo a casa e mentre salgo le scale reggo con le mani delle carte, buste o cose del genere, col dorso delle mani verso terra e gli oggetti un po’ premuti verso le gambe.
abbasso lo sguardo verso la mano sinistra e con sorpresa mi accorgo che non è una cartellina quel che reggo ma una bimbetta piccola che, mentre la guardo, è come se si rigonfiasse da quella forma a busta per riprendere la sua forma reale.
è bellissima e mi guarda sorridente, io la prendo bene in braccio, come si tengono i bimbi piccoli, e lei si stringe e si coccola, sempre luminosa e sorridente, bellissima.
allora io penso che è la figlia di quella signora e come diavolo adesso ce l’ho io?
forse è salita nell’auto mentre era ferma in fondo alla discesa…
dico a mia figlia: dobbiamo riportarla subito alla mamma!
lei dice che no, possiamo telefonare.
no, dico io, non è possibile: dobbiamo riportarla subito perché la mamma sarà preoccupata, si arrabbierà…
ma no, dice la ragazzina, mia mamma non dirà niente, vedrai che non dice niente.
mia mamma? penso io. ma quale mamma? allora mia figlia è figlia di quella signora? sorella della bimbetta…
insomma risalgo in macchina e torno in quel posto.
la signora è li, con quella faccia che conosco ma non riconosco da sveglio e nel sogno è solo la signora di quel posto.
io imbarazzato dico: guardi chi c’è in macchina! lei si avvicina affabile e sorridente ma quando vede la bimbetta, che è sempre un sole, si adombra e poi si arrabbia e mi dice eh no! questo no! questo non dovevi farmelo!! e si arrabbia molto… furibonda s’ira.
vado via subito, con la balena bianca, naturalmente sentendomi in grande colpa, un delinquente.
l’altra ragazzina è sparita dal sogno.

ieri sera sono andato a mangiare la pizza con…
mi ha raccontato di essere andato a sentire un concerto per il presidente e di essersi seduto io ottima posizione sopra l’orchestra e con visuale perfetta delle prime file della platea.
mi ha detto d’aver riconosciuto alcuni notabili della città citandone qualche nome o carica.
alcuni li conosco o li ho conosciuti… uno di questi aveva una moglie bellissima, all’epoca della balena bianca, e…
non somiglia per nulla alla faccia del sogno, né la fisionomia, né i capelli, né gli occhi… nulla!
era pazzerella e bellissima (ricca e jet set) e così io, dopo poco, le dissi che non era cosa.
si offese molto. era furibonda!! fece scenate.
una notte venne a casa mia e con l’auto sfondò (l’ho detto che era pazzerella!) la porta scorrevole della cantina-garage, in fondo alla discesa.
si era appena separata e viveva in una casa in mezzo al bosco, come quella delle fate, con un bel prato intorno e fiori, in fondo ad una piccola discesa.
poi la riincontrai e mi disse che forse era incinta.
poi la riincontrai e mi disse che non era vero.
poi la riincontrai in un ristorante, anni dopo: un momento di dubbio (chi è?) e mi salutò radiosa.
poi non l’ho incontrata mai più.
vent’anni fa.

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